In quella villa, assistito dalla signora Melchior e dalla mamma di Carlottina, il buon vecchio poeta si spense in pace. Non sofferse quasi punto, e negli ultimi giorni ripeteva ancora: "Com'è bella la vita! Come sono felice! Mi par di andarmene dolcemente, vidt, vidt, dove non v'ha dolore..." - E il primo di agosto 1875 trovò l'ombra tranquilla promessa dal nome della dolce casa.
Quando leggete la novella del lino, ripensate a lui. In vero, anche fosse stato meglio preparato alla vita, l'Andersen avrebbe certo molto sofferto nella lunga ascesa, che non è mai senza triboli. Egli stesso confessava però la sua eccessiva sensibilità: "Sono una strana creatura," - scriveva alla madre nell'ottobre 1826: "Se il vento soffia un po' forte, subito gli occhi mi lacrimano. E pure so benissimo che la vita non può già essere tutta serena come un bel giorno di maggio."
Si ingegnò dunque di preparare gli altri alla lotta, infondendo, nei fanciulli specialmente, il rispetto della vita in ogni più umile forma, perchè anche il rospo ha in fronte la sua gemma. E con le belle immagini gentili cercò d'inspirare una virtù modesta, ma largamente benefica - la virtù del sorriso, che appresa tardi, costa uno sforzo tanto più penoso quanto più dissimulato, appresa da piccini, diviene abitudine, ed è poi sempre una delle maggiori benedizioni, per noi stessi e per chi ci sta d'intorno. Insegnò, in somma, a prendere in pace il mal tempo fidando nel sole, perchè (e non c'è voluto meno di Giampaolo Richter per dire tanto bene una cosa tanto semplice!
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