È troppo grande!
- dicevano tutti; e il tacchino, ch'era nato con gli sproni e perciò s'immaginava d'essere imperatore, si gonfiò come un bastimento che spiegasse le vele, fece la ruota, divenne tutto rosso nel capo e gli si avventò. Il povero anitroccolo non sapeva che fare nè dove scappare. Si sentiva avvilito d'essere tanto brutto da servire di zimbello a tutta la corte.
Così passarono i primi giorni, e poi andò di male in peggio. Il povero anitroccolo era scacciato da tutti, e persino i suoi fratelli gli usavano mille sgarbi, e dicevano: "Magari il gatto t'ingoiasse una buona volta, brutto che sei!" E la madre sospirava: "Ah, fossi tu lontano le mille miglia!" Le anitre lo beccavano, i polli gli si avventavano e la ragazza della fattoria, che veniva a portare il becchime, lo respingeva col piede.
Egli allora scappò davvero, e spiccò il volo al di là della siepe; gli uccelli fuggirono spauriti dai cespugli e s'alzarono nell'aria. "Ecco qua: colpa la mia bruttezza!" - pensò l' anitroccolo; e chiuse gli occhi, ma continuò sempre a fuggire. E così arrivò alla grande palude, dove stanno le anitre selvatiche; e là si fermò tutta la notte, perchè era tanto stanco e tanto triste.
La mattina, le anitre si levarono e videro il nuovo compagno: "Che razza di contadino sei mai?" - domandarono; e l'anitroccolo si volse da tutti i lati, e salutò meglio che potè.
Sei di una bruttezza tremenda,
- dissero le anitre selvatiche; "ma questo a noi poco importa, pur che tu non prenda moglie nella nostra famiglia.
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