Non solo le corde, ma le fibre tutte dello strumento sembravano animarsi. Ah, che stupenda esecuzione! E sebbene il pezzo fosse difficilissimo, l'arco scivolava naturalmente, quasi per gioco, sulle corde; si sarebbe detto che chiunque potesse fare altrettanto. Il violino sembrava sonare da sè, e spontaneamente pareva muoversi l'arco: pareva facessero tutto tra loro due; e l'uditorio dimenticava il maestro che li guidava, infondendo loro anima e spirito. Il maestro era quasi dimenticato; ma egli, il Poeta, lo ricordò e ne scrisse il nome, e diede forma ai pensieri che gli aveva inspirati.
Che sciocchi sarebbero violino e archetto, se menassero vanto dell'opera loro! E pure noi, uomini, commettiamo sovente simile follia: poeta, artista, scienziato, generale - tutti noi facciamo altrettanto, vantando l'opera nostra, mentre non siamo se non gli strumenti di cui l'Onnipotente si serve. A Lui solo sia gloria! Noi di nulla possiamo andar superbi!
Sì, questo scrisse il Poeta; lo scrisse in forma di parabola, ed intitolò la parabola: "Il Maestro e gli Strumenti."
Questa viene a te, caro!
- disse la Penna al Calamaio, quando rimasero soli di nuovo. "Gli hai sentito legger forte quello che io ho scritto?"
Sì, quello che io t'ho dato da scrivere!
- ribattè il Calamaio: "Una buona allusione per te, per la tua presunzione. Che tu non abbia nemmeno a capire che ti si mette in canzonella! E pure questa frecciata mi è proprio venuta su dal fondo del cuore. Almeno delle mie satire, saprò, spero, dove vanno a parare.
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