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      Era divenuto magro magro, e persino la sua ombra s'era rimpicciolita, da quel che era in patria: il sole consumava anche lei, e tutti e due non si riavevano che a sera, dopo il tramonto.
      Era un piacere vederli. Appena portavano un lume nella stanza, l'ombra si stirava per bene sulla parete, e tal volta si allungava tanto, che doveva ripiegarsi contro il soffitto: bisognava che si stirasse un poco, per riprender forza. Lo scienziato usciva sul terrazzino, per isgranchirsi un po' anche lui, e appena le stelle apparivano nel bel cielo sereno, si sentiva tutto ristorare. Nei varii terrazzi della contrada - e, nei paesi caldi, ogni finestra ha il suo terrazzino, - apparivano allora tutti gli abitanti delle case, perchè il bisogno di respirare un po' d'aria fresca si prova anche quando si è abituati ad avere il viso bruno come il mogano. Allora tutta la strada si animava: calzolai, sarti, donne, vecchi, fanciulli si mettevano a sedere davanti agli usci; portavano fuori tavole e sedie, accendevano candele, chiacchieravano, cantavano; la gente passeggiava su e giù; passavano le carrozze, trottavano i muletti: cling, cling, cling! - perchè avevano i bubbolini ai finimenti, - e i monelli facevano un chiasso indiavolato: si seppellivano i morti con solenni salmodie, le campane delle chiese sonavano, e la strada era tutta un brusìo, e da per tutto si vedevano lumi accesi. Soltanto in una casa, giusto di contro a quella abitata dallo scienziato, tutto era quiete e silenzio; e pure qualcuno doveva viverci, perchè sui terrazzini c'erano piante che fiorivano meravigliosamente nel sole caldo, come non avrebbero potuto se alcuno non le avesse annaffiate.


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40 Novelle
di Hans Christian Andersen
pagine 345