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      A che giovano tutti i miei doni, se non posso avere una candela di cera?
      - sospirava il fanale: "Non hanno che lumi a olio e candele di sego; e quelle non servono!"
      Un giorno capitò nella cantina un bel mucchietto di mozziconi di cera, avanzo di non so quale illuminazione: i più lunghi furono consumati, e i più corti servirono alla buona donna per incerare le agugliate. Candele di cera, dunque, ora ce n'erano; ma nessuno pensò a metterne una nel fanale.
      Che me ne faccio, di tutte le mie preziose facoltà?
      - pensava il fanale: "Mi tengo tutto dentro e non posso farne parte a loro! Nemmeno sospettano, poveri vecchi, che potrei ricoprire queste quattro pareti dei più magnifici arazzi, o pure tramutarle in boschi solenni, o in quant'altro mai sapessero desiderare!"
      Il fanale, però, era tenuto in ordine, e ben ripulito, e stava tutto lucente in un angolo, dove attirava gli sguardi di ognuno. Agli estranei sembrava, veramente, un'anticaglia inutile; ma i due vecchi non lo volevano sentir dire, perchè gli erano affezionati.
      Un giorno - era il natalizio del lampionaio - la vecchia si accostò alla lanterna, sorridendo tra sè, e disse:
      Voglio fare una bella illuminazione, oggi, in onore del mio vecchio!
      Il fanale ebbe un brivido di gioia lungo il metallo, pensando: "Oh bene! Finalmente, avrò anch'io la mia fiamma dentro!" Ma non gli toccò che olio; e niente candela di cera. Il fanale rimase acceso tutta la sera, ma dovette persuadersi che il dono delle stelle, il dono più bello, era destinato a restarsene un tesoro nascosto, in tutta questa vita.


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40 Novelle
di Hans Christian Andersen
pagine 345