Moito vaco destri per la sala. Moito cavalcano adatti per la citate. Puoi se ne iro li dodici ambasciatori denanti a missore Mastino. Naturalmente la favella de Veneziani è regogliosa, e così regoglioso, senza umanitate, parlaro a missore Mastino e dissero: «Missore Mastino, lo Communo de Venezia te prega che non te vogli perdere Venezia per lo sale e non vogli fare quello che tuoi antecessori non fecero e quello che non è stato fatto in nostri dìe. Lo sale ène de Veneziani, non ène de Padovani. De fare cutale sale te conveo remanere, se non vòi turbare li uomini de Venezia e se vòi remanere nuostro amico». A questa ammasciata respuse lo Mastino e disse: «Verrete crai a pranzare in mea corte con meco e là averete la resposta». Lo sequente dìe lo convito fu apparecchiato grannissimo. In quella sala fu apparecchiato per più de ottociento perzone. Alla prima tavola aitre scudelle non ce fuoro, se non de buono ariento, né aitre vascella. A questo convito Veneziani vennero, li quali tutti a dodici fuoro puosti ad una tavola in pede della sala, in veduta de tutta la corte per là venuta. Lavate che àbbero le mano, non se despogliaro loro larghi tabarretti, anche con essi se misero a tavola. Granne era lo ridere che omo faceva de essi. Così stavano assemmoti como fussino Patarini overo scommunicati. Tutta la iente li resguardava como alocchi. Stava missore Mastino in capo della sala, più aito che tutta l'aitra baronia, servuto a tavola como re. Tutta soa nobilitate de corte vedeva. A soa veduta cosa nulla era celata.
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