In soa corte accadde un granne filosofo. Moito fu alegro lo re della presenzia de questo buono omo e tanto maiuremente quanto questo filosofo aveva buono aspietto e pienamente responneva ad onne questione che ad esso se faceva. Ora vole lo re onorare la bontate, la scienzia, la vertute, la quale in questo filosofo se trovava. Invitaolo ad uno solenne convito de diverzi civi delicati e buoni, allo quale convito fu tutta soa baronia. La sala, dove lo magnare se faceva, fu granne e larga. Le tavole messe atorno atorno. Tutto lo palmento della sala era copierto de tappiti, li quali tappiti erano de pura e netta seta. Le mura intorno erano ammantate de celoni riccamente lavorati a babuini messi a seta ed aoro filato. Lo cielo de sopra era de cortina, fatto a stelle d'aoro. Moiti panni tartareschi lą sparzi erano. Voleva lo re che quello convito solenne fussi. In capo della sala stava una tavola piccola. A questa tavola sedevano lo re e lo filosofo soli. Viengo li serviziali, delicato portano manicare. Mentre che·sse manicava, lo re non perdeva tiempo, anche dilientemente domannava lo filosofo che li rennessi rascione de certi dubii. Lo filosofo, como prudente perzona, sufficientemente responneva. Soie resposte fortemente cadevano nello animo dello re, ca·sse accostavano allo vero. Donne lo re spesse fiate diceva: «Bene dicesti. Piaceme». Infra tanto allo filosofo venne voluntate de sputare. Teneva in vocca una granne spurgata una ora grossa. Pił tenere non lo poteva. Fore conveniva che uscissi.
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