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      Arde le terre canto mare. Là dove sio stuolo se posa non hao reparo. Puoi li venne alle mano una bella caienza e nova pescascione. Cinque legni de Turchia currevano la marina e menavano Griechi e Greche, li quali avevano presi con loro bieni, pecora, vestiame e aitro arnese. Questi Griechi erano delle ville canto la marina. Erano presi da Turchi e derobati. Loro ville erano arze. Quanno missore Pietro vidde questi legni da longa, conubbe la soa ventura. Aiza le vele de soie galee allo viento. Così le ionze como fao lo sparvieri la quaglia. E conoscenno che preda portavano disse: «E pateremo tanto detoperio?» Dodici galee avea. Ferivano soie galee dalla proda nello ventre delli legni de Turchi e affonnavanolli in mare. Erano quelli legni non granni. Tre ne fuoro affonnati in pelago con ciò che drento era. Non ne campao anima vivente. Li doi legni fuoro intorniati e presi. Nell'uno stava lo ameli dello mare, che veo a dicere mastro e signore. Avea nome Mostafà. Queste doi non fuoro sfonnate, perché non fecero alcuna resistenzia. Parze meglio servareli vivi. Quanno se traievano li Turchi delli loro legni, ad uno ad uno se legavano in canna con una corda. Onneuno incrocicchiava le mano allo pietto e inchinavanose, como fecessino reverenzia, e dicevano: «Ano stavròs, stavròs»; quasi veo a dicere: «Perdonetece, ca volemo la croce e essere cristiani». Ora ne torna lo franco guerriero, missore Pietro Zeno, con questa caccia alle Esmirre. Mentre questo Mostafà stava in presone, una lettera in soa lengua li venne da una soa donna.


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Cronica - Vita di Cola di Rienzo
di Anonimo romano
pagine 236

   





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