Dunqua morano Genovesi». Questo dicenno Franceschi se muossero a furore contra li loro sollati. Traievano crudamente de spade e de lance. Genovesi fuoro tutti occisi fi' ad uno. Mormoraose missore Ottone allo re della morte de soa iente, lo quale respuse e disse: «Non avemo bisuogno de pedoni. Iente avemo assai». Questa fu la prima varatta. Cinque milia Genovesi fuoro occisi ad una ora. Ora se avegìo le frontiere, le ponte delle vattaglie Ianni re de Maiorica a Adoardo duca de Gales. Nella adosa fu sì granne lo strillare, sì granne lo romore e·llo scuoppio delle aste, che parze che doi montagne se urtassino insiemmora. Tal dao, tal tolle. Sonano instrumenti, tromme, cornamuse assai. In questa vattaglia fu una tale novitate. Lo prence de Gales avea speronato lo sio cavallo moito drento dalli nimici. Solo granne danno faceva. Uno conte, lo quale se appellava lo conte Valentino, lo vidde e conubbe. Cresese forte avere guadagnato. Per gran pesce prennere l'amo iettao. Accostao sio cavallo quetamente e abracciao Adoardo prence de Gales. Puoi lo prese per le catenelle della corazza e disse: «Tu si' mio presone». Allora se ferma e fortemente lo traieva della schiera e connucevalo in soa libera balìa. Mentre che così lo conte Valentino menava lo figlio dello re de Egnilterra, sopravenne lo conte de Lancione, lo quale era frate carnale allo re Filippo, e vedenno che Adoardetto era perduto, legato como pecorella, disse queste paravole forte iratamente: «Ahi conte Valentino, como si' tu tanto ardito de menare in presone mio cusino?
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