De ciò lo frate esbaottìo, ca penzao in sio animo: «Moito ène savio omo questo tribuno, moita scienzia sao, ché me hao respuosto per lo tiesto della Abibia in quella colonna dove stava la mea proposta. Certo moito sao, moita memoria e prodezza hao». Ora te voglio contare alcuna cosa della iustizia la quale questo faceva. Confesso che quelli che in Roma venno carne o pesce siano li peiori uomini dello munno; onne iente suoglio imbrattare. Allora dicevano nettamente: «Questa carne ène de peco, questa ène de crapa, questa ène sediticcia. Questo pesce ène buono, questo ène rio». Nettamente ciasche arte diceva la veritate. Fra li aitri ambasciatori uno monaco nero della citate de Castiello venne a Roma. Albergao in Campo de Fiore. Là, po' vespero, levato da cena non potéo trovare la cappa, la quale avea lassata fòra; era furata. Abbe lo monaco alquante paravole coll'oste. L'oste diceva: «Non me assenasti cappa». Non valenno lo turbare a trovare la cappa, lo monaco ne gìo denanti allo tribuno e disse: «Missore, io me pusi a cena. Lassai mea cappa de fore dallo albergo. Credeva che vostra signoria me·lla conservassi. Ora me ène furata. Non la pozzo reavere. Monaco sacrato so'. In gonnella ne vado leieri a muodo de sparvieri». A ciò respuse lo tribuno e disse: «Toa cappa salva ène». Mannao per panni. In quello stante li fece tagliare e cosire ricca cappa de quello panno de quello colore. Ora torna lo monaco moito contento allo albergo e disse: «Io non aio perduta cosa alcuna. Ecco la mea cappa». Lo notaro dello tribuno scrisse li confini dello luoco, e se·lla ruvina soa maturata non fussi, ne traieva più de milli fiorini.
| |
Abibia Roma Castiello Roma Campo Fiore Monaco
|