Verraio con succurzo, con milli, doi milia perzone, quante bisognaraco, e farraio le cose magnifiche. Non dubitete. Tu e tio frate ameteve e onoreteve, non fate romore». Missore Arimbaldo, receputa la lettera, fu lieto assai. Mise in ordine collo tribuno dello caminare. Puoi che Cola de Rienzi abbe li quattro milia fiorini, vestìose riccamente de più robbe, adobaose a senno dello savio sio ornatamente: gonnella, guarnaccia e cappa de scarlatto forrata de varo, infresata de aoro fino, pistiglioni de aoro, spada ornata in centa, cavallo ornato, speroni de aoro, famiglia vestuta nova. Così adorno ne tornao a Montefiascone denanti allo legato. Menava per compagnia missore Bettrone e missore Arimbaldo de Narba fratelli, con famiglie e cose. Quanno fu denanti allo legato, faceva dell'altiero. Mustravase gruosso con sio cappuccio in canna de scarlatto, con cappa de scarlatto, forrati de panze de vari. Stava supervo. Capezziava. Menava lo capo 'nanti e reto, como dicessi: «Chi so' io? Io chi so'?» Puoi se rizzava nelle ponte delli piedi; ora se aizava, ora se abassava. Maravigliase lo legato e deo alquanto fede alle soie paravole. Puro non li deo denaro uno. Allora parlao Cola e disse: «Legato, famme senatore de Roma. Io vaio e parote la via». Lo legato lo fece senatore e mannaolo via. A potere venire a Roma bisognava iente. De noviello missore Malatesta de Arimino aveva cassati li sollati suoi, da sedici banniere, bona iente, doiciento cinquanta varvute. Demoravano in Peroscia per trovare suollo.
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