Là posao. Fatta la dimane, la novella ionze che le vestie de Romani erano tratte da Pantano e connutte in Pellestrina. Allora lo tribuno irato disse: «Que iova de ire de là e de cà per locora senza vie? Non voglio più scelmire cosa della Colonna. Alle mano voglio essere». Quattro dìi in Tivoli stette. Mannao suoi editti. Espeditamente fece venire da Roma la romana cavallaria, tutti li sollati da cavallo e·lli fanti masnadieri. Era vivace de scrivere. Staieva sio stennardo in Tivoli con soa arme de azule a sole de aoro e stelle de ariento e coll'arma de Roma. Forte cosa! Quello stennardo non era lucente como era prima; staieva miserabile, fiacco, non daieva le code allo viento regoglioso. Venuto lo stuolo de suoi sollati, le moite banniere, cornamuse e trommette assai, venuti missore Bettrone e missore Arimbaldo, li quali li aveva fatti capitanii de guerra generali, li sollati se mormoravano, ca volevano la paca. Li conestavili todeschi demannavano moneta, ché loro arme staievano in pegno. Moite scuse trovao. Non valeva più la fuga. Vedi bella lerciaria che fece alli suoi capitanii. Abbe missore Bettrone e missore Arimbaldo e disseli: «Trovo scritto nelle storie romane che non era moneta in Communo de Roma per sollati. Lo consolo adunao li baroni de Roma, disse:"Noa che avemo li offizii e·lle dignitate siamo li primi a dunare quello che ciascheuno pò de bona voluntate". Per quello duno fu adunata tanta moneta, che iustamente la milizia fu pacata. Così voi doi comenzete a dunare.
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