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      Là fuoro milli cavalieri fra Romani e sollati, fu lo puopolo de Tivoli e de Velletri, e·lle masnate delle communanze intorno e della badia de Farfa, e de Campagna e della Montagna. Puosto lo assedio, ciasche perzona cobelle faceva. Solo esso Cola de Rienzi de continuo aveva l'uocchi sopra Pellestrina. Aizava la testa e resguardava lo aito colle, lo forte castiello, e considerava per quale muodo potessi confonnere e derovinare quelle edificia. Non levava lo sguardo de·llà. Diceva: «Questo è quello monte lo quale me conveo appianare». Spesso anco, continuo guardanno e non movenno lo penzieri sio da Pellestrina, vedeva che per la parte de sopra vestiame veniva da pascere e entrava la porta de sopra per abbeverare, puoi tornava alli pascoli. Anco vedeva da l'aitra porta de sopra entrare uomini con salmarie, con some. Vedeva la traccia longa delli vetturali che venivano con fodere in Pellestrina. Allora domannava quelli li quali staievano seco e diceva: «Quelli somarieri que voco dicere?» Responnevano quelli che con esso staievano: «Senatore, quello vestiame veo da pascere e torna in Pellestrina a l'acqua per vevere. Quelli uomini portano farina e grascia per infoderare la terra che non affamassi». Allora responneva e diceva: «Diceteme, non se pòterano pigliare li passi, che questo vestiame sì liberamente non issi a pastura e quelli non portassino fodere?» Responnevano li meno liali Romani e dicevano: «Tanta è la fortura delli monti de Pellestrina, che quelle entrate de sopra e quelle iessite non se·lli puoco vetare.


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Cronica - Vita di Cola di Rienzo
di Anonimo romano
pagine 236

   





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