Diceva che i suoi delitti non erano passibili di morte, che la sentenza era un abbominio. E ci volle del bello e del buono per metterlo legato sulla carretta. Mentre stavo per farlo salire sulla scala, mi diede un così terribile spintone che per poco non vacillai. Ma questo tratto villano mi inasprì e senza ulteriori complimenti, passatagli la corda al collo, lo mandai all’altro mondo, dove avrà portate le sue lagnanze contro la giustizia di Roma.
Dopo quattro mesi d’inazione fui inviato a Iesi per impiccarvi, come di fatto impiccai, il 30 ottobre 1797, Pacifico Santinelli di quella città, il quale essendo detenuto nelle prigioni aveva ucciso il carceriere e sua moglie. Era il Pacifico Santinelli l’antitesi personificata del suo nome. Altro che Pacifico! Pareva il demonio! Alto e tarchiato, dotato di una forza erculea, aveva esercitato tutti i mestieri confessabili e non confessabili. Era in voce di grassatore, ma nessuno aveva mai potuto provarlo. Messo dentro in seguito ad un tafferuglio avvenuto una notte in piazza, nel quale non aveva preso, per dire la verità, alcuna parte attiva, si cercò di trattenerlo più che fosse possibile, al fine di praticare indagini sul suo conto e venire a capo delle accuse che gli si movevano. Si sperava che la sua detenzione avrebbe incoraggiato i testi a deporre contro di lui. Ma, o non avesse realmente commesso i delitti che gli si imputavano, o fosse realmente tale il timore che incuteva da paralizzar la lingua di chi avrebbe potuto comprometterlo, tornarono tutti i tentativi a vuoto.
| |
Roma Iesi Pacifico Santinelli Pacifico Santinelli Pacifico
|