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      Pacifico Santinelli intanto si impazientiva orribilmente e andava dicendo al suo carceriere che se non gli si apriva la porta un giorno o l’altro l’avrebbe strozzato colle proprie mani.
      E, purtroppo, tenne la parola.
      Il povero carceriere entrato una mattina nella sua cella, lo trovò di molto agitato. Aveva passato una notte insonne mulinando i più sinistri propositi.
      - Pacifico, gli disse scherzando il carceriere, credendo d’amicarselo, non intendi dunque di rappacificarti colla giustizia?
      - La giustizia la strozzerei, come strozzerò te, suo rappresentante e ministro, se non m’apri la porta.
      - Sei in vena di ridere, Santinelli?
      - Punto.
      - Eppure a sentir certe proposizioni lo si crederebbe.
      - Quali?
      - Non hai detto che vuoi uscire oggi?
      - L’ho detto e lo farò.
      - Chi t’aprirà la porta?
      - Le chiavi.
      - Sono troppo ben collocate - riprese il carceriere, agitando il mazzo delle chiavi che portava sospese alla cintola.
      - Lo credi? - gli domandò il Santinelli sempre più torvo e minaccioso, con accento strano.
      - Ne sono sicuro.
      - Vediamo.
      Così dicendo il prigioniero, con un balzo di pantera fu addosso al carceriere e afferratolo alla gola, lo rovesciò sul pavimento. Tentò il carceriere di rialzarsi, con un brusco moto, ma Pacifico gli pose un ginocchio sul petto e strinse viemaggiormente il cerchio delle sue mani che gli serravano il collo.
      Le vene del paziente si gonfiavano orribilmente; il viso s’era fatto paonazzo, poi quasi nero; gli occhi gli schizzavano dall’orbita; la lingua gli usciva per tre quarti dello bocca.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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