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      Don Giovanni abitava con una servente ed una nipote in una elegante casina a mezza costa della collina di Monte Mario. Era uomo assai danaroso, amava il vino generoso e la buona cucina. Le male lingue sussurravano che non fosse insensibile anche alle seduzioni del bel sesso e lo argomentavano forse dal fatto che Tota, la sua fantesca, era un pezzo di ragazza forte e sanguigna, assai appetitosa. Ma dal momento che si teneva in casa la nipote, parmi si dovesse rimuovere ogni sospetto.
      Celebrava la prima messa nella Chiesa di Monte Mario e di pratiche religiose non se ne occupava più; tanto meno di uffici ecclesiastici. E questo contribuiva ad alienargli le simpatie della Curia, la quale lo aveva parecchie volte richiamato alla stretta osservanza del Concilio Tridentino, che prescrive ai preti di non tenersi in casa donne in età minore di quarant’anni.
      - Diciannove ne ha la mia nipote, Bettina, ventuno la mia serva Tota, e fra tutte due sommano appunto quarant’anni: sono nella legge. Così ragionava il bravo prete.
      Don Giovanni avea già più volte osservato dei brutti ceffi che si aggiravano nei dintorni della sua casina; ma non avea fatto caso.
      La sua villetta era ben munita di solide imposte: aveva un alano che latrava da far spavento, al menomo rumore; possedeva delle buone armi; e vicino ad essa sorgeva un fabbricato rustico, abitato da due famiglie di contadini alle sue dipendenze, delle quali facevan parte alcuni robusti giovanotti. Credeva quindi di non aver a temere sorpresa alcuna.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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