Dovetti andarlo a prendere di viva forza, scortato dai birri, di notte in un magazzino di legname.
Sull’albeggiare del 27 gennaio però tutto era pronto. Mi recai alle carceri ove mi vennero consegnati i condannati, che feci salire nella carretta, ben ammanettati e legati due per due.
Luigi Puerio respinse i confortatori e salì sul palco con passo intrepido e morì bene, senza codardia e senza smancerie. I suoi complici invece erano addirittura disfatti.
Più della corda li spense lo spavento del patibolo. Però mi condussi in modo che il pubblico non si avvedesse, perciocché per antichissima tradizione è convenuto che non si debbano giustiziare né morti, né moribondi, né infermi di qualsiasi maniera.
Assistettero a questa mia giustizia l’ambasciatore di Spagna e una quantità di diplomatici d’altre nazioni, perché la principessa era assai conosciuta e benevisa, e le circostanze in cui era seguito il suo assassinio, avevano dato corso ad una infinità di commenti. Insieme ai diplomatici ed all’ambasciatore di Spagna erano pur giunti a Camerino una quantità di signori e grandi personaggi romani, fra i quali Sua Eminenza il Cardinale, Segretario di Stato.
Fu questa una delle più solenni mie esecuzioni.
V.
Lo stupro d’una vergine.
Il fatto del Puerio mi richiama alla mente un altro delitto, nel quale la foia erotica, la libidine dei godimenti sensuali ebbe parte precipua e che condusse il reo nelle mie mani. E poiché la memoria in questo momento mi soccorre meravigliosamente, tanto da ricordarmi i più minuti particolari, interrompo l’ordine cronologico delle mie esecuzioni per narrarlo qui e descriverlo.
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