- Mi sono vendicato - rispose e non aggiunse verbo.
Tratto in carcere dormì parecchie ore d’un sonno affannoso. Solo quando si svegliò, dopo il riposo, ebbe il beneficio delle lagrime, che salvò la sua ragione vacillante.
Proruppe in dirotto pianto e chiese instantemente di essere subito giustiziato.
- Mi pesa troppo la vita! mormorava.
Ma dovette attendere che le formalità del processo si esaurissero. Non durarono però molto, essendo confesso, e il 4 luglio 1801 lo impiccai a Subiaco, con immenso concorso di gente colà convenuta da tutte le parti, perché il rumore sollevato dal misfatto, aveva destato l’universale curiosità.
Domenico Treca era caduto parecchi giorni prima della sua impiccagione in uno stato di completa apatia. Si confessò e ricevette i conforti della religione, e salendo il patibolo non era più un uomo, era un automa.
VII.
L’assassinio di un Giudìo - Parricidio.
Le prime esecuzioni dell’anno 1802 furono in persona di grassatori. Il primo, Domenico De Cesare, lo impiccai sulla piazza di Ponte Sant’Angelo, il giorno 8 febbraio. E se vi fu mai uno che meritasse d’andarsene al diavolo colla fune intorno al collo, era lui. Aveva grassato un povero spazzino per togliergli i pochi baiocchi, coi quali doveva comprare il pane a’ suoi figliuoli. Arrestato, confessò il delitto cinicamente, senza mostrarsene menomamente pentito. Respinse il primo confortatore che gli si presentò, sputandogli in volto, e mentre io gli legavo le braccia, dissemi:
- Attento Mastro Titta, perché se non mi tieni saldamente, scappo e vengo a farti una visita di notte a Borgo Sant’Angelo.
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