- E il cappuccino?
- Tirò innanzi fino ad una piccola spianata, cinta d’alberi fronzuti, e là mi disse: Riposiamo un po’ qui.
- E voi?
- Acconsentii.
- Dunque eravate ben disposto?
- Tutt’altro.
- Almeno vi fingevate tale?
- Io non dicevo nulla. Lui mi raccontava delle storielle lubriche, che diceva accadute in convento; io ascoltavo e ridevo.
- In quale posizione vi trovavate?
- Sdraiati sull’erba, sopra un piccolo pendio, costeggiante lo spianato, dove più fitta era l’alberata.
- Continuate.
- Sentendomi assalito da un bisogno, chiesi perdono al priore, il quale mi disse: «Fa pure il comodo tuo». Ma mentre mi accingevo a farlo, mi sentii afferrare a tergo per le braccia dal frate, che con un colpo di ginocchio mi fece cader supino.
- Perché non vi svincolaste subito, se non eravate annuente?
- Tentai, ma le sue braccia erano più vigorose delle mie.
- Dovevate chiamare aiuto.
- Avrei buttato il mio fiato: in quell’ora non si trova mai nessuno nella macchia.
- Breve: come finì?
- Cacciai il coltello che tenevo nelle tasche dei calzoni.
- Per uccidere il cappuccino?
- No: solo per fargli paura.
- E per fargli paura semplicemente lo avete ammazzato?
- Vedendo che il priore ci si metteva per davvero, gli tirai un colpo, perché mi lasciasse.
- Un piccolo colpo che gli spaccò il cuore.
- Non è colpa mia.
- Eravate sempre supino?
- Sì.
- La perizia medica esclude la vostra asserzione, perché la ferita parte dall’alto al basso. Quello che voi narrate, non è che un’oscena favola colla quale sperate indarno di ingannare la giustizia.
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Riposiamo
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