Monsignore, che era di buon umore e sapeva d’altronde di essere ben custodito, ordinò che lo facessero passare.
Entrò un uomo sulla cinquantina, coi capelli spioventi sulle spalle, e la lunga barba, brizzolati e questa e quelli, vestito alla cacciatora, con una certa eleganza.
- Chi siete? - gli domandò il Fiscale, ostentando il piglio brusco, d’un uomo disturbato ed annoiato.
- Non vi servirebbe a nulla il mio nome per il momento, s’anco lo declinassi.
- Che volete?
- Desidererei da V. S. reverendissima degli schiarimenti.
- Sopra quale argomento?
- Sulla taglia imposta per la presa del bandito Lucarini.
- Vi sentireste in grado di guadagnarla?
- Perché no?
- Sapete che sono ormai tre mesi che si è pubblicata e nessuno si è lasciato sedurre dalla medesima?
- Lo so.
- E voi vorreste tentare?
- Vorrei riuscire.
Monsignor Fiscale si tolse gli occhiali e ne pulì con un lembo del tovagliolo le lenti, quindi se li ripose e guardò fissamente il nuovo venuto.
Questi sostenne lo sguardo e non si mosse.
Il giudizio del Fiscale parve favorevole, perché la sua fronte corrugata si spianò e sclamò:
- Benissimo: mi sembrate uomo più che di parole, di fatti.
- Purtroppo!
- Purtroppo? - ripeté il Fiscale aggrottando le ciglia, - Perché?
- Perché i fatti mettono spesso gli uomini in brutti impicci.
- Ho capito. Avete qualche conto da rendere alla giustizia.
- Può essere.
- Vi avverto che non mi piacciono le locuzioni ambigue - Monsignore pronunziò queste parole in tono severo, e quasi duro, guardandosi attorno come cercasse qualche cosa o qualcuno.
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