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      Ma quell’armadio dissimulava una porta, che girava sui cardini, insieme alle tavole traversali, sulle quali stavano gli involti delle erbe, e dava accesso ad un terzo compartimento segreto, molto più ampio dei due antecedenti presi insieme, che si internava nella collina, e faceva capo ad una grotta naturale, chiusa da una porta, coperta da un alto specchio di Venezia, con larga cornice intagliata e dorata.
      La grotta serviva all’eremita di deposito delle sue dovizie e per un lungo corridoio, scavato nel tufo calcareo, si giungeva ad un’altra uscita, difesa da una porta sprangata di ferro, che si apriva dall’interno ed era al di fuori mascherata da grandi massi, rivestiti di verde musco. Questa uscita metteva nel folto della macchia, che si estendeva su tutto il versante dell’aspra collina.
      Il compartimento segreto della capanna era riccamente arredato e munito di tutti i conforti della vita: un ampio letto a colonne con cortinaggi di velluto e di trina, che lo chiudevano come un santuario; vasti armadi di legno dipinto e intarsiato, con fregi e dorature, una tavola rotonda col pedale di bronzo dorato e il piano di mosaico; sedie e divani coperti di velluto e di cuoio di Cordova impresso in oro, ne costituivano il mobilio sontuoso ed elegante ad un tempo, e chiarivano come fra Pasquale doveva aver passato i suoi primi anni nel lusso ed avervi affinato il suo gusto.
      Era quello scompartimento il suo piccolo paradiso; un paradiso che non aveva delle Urì come quello di Maometto, ma al quale non mancava di quando in quando il sorriso della donna.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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