- Perché? - chiese stupefatto Domenico Guidi.
- Portami via, se no mi uccido.
- Ma dimmi almeno in nome di Dio che cos’è avvenuto per determinarti a questa rischiosa proposta. Fummo scoperti?
- No.
- Dunque?
- Dunque, mio padre vuol maritarmi a tutti i costi. E quando s’è fitta in testa una cosa non è uomo da lasciarsi rimuovere dal proposito.
- Tua madre?
- È troppo debole per resistergli.
- Tuo fratello?
- È avido di danaro quanto e più di mio padre: lo sposo è ricco.
- Fanno conto di spogliarlo?
- No. Ma tu capirai che dove ce n’è ne gronda.
- Perfettamente. Ma dove ti devo condurre? Se restiamo a Viterbo saremo subito scoperti..
- Bell’affare.
- E d’altra parte, lasciando il paese, dove ti condurrò, come troverò da mangiare per me e per te?
- Lavoreremo.
- Non sarà la voglia che mi mancherà. Ma ci vorrà del tempo prima di trovar da occuparci. E intanto?
- Ci penserò io. Ho dei gioielli, ho della roba, ho pure qualche scudo da parte.
- Quand’è così, decidi tu. Io son pronto.
- Bisogna far presto.
- Questa sera, no, credo?
- Domani.
- E sia.
Per quella notte amore fu lasciato in disparte. I due giovani s’accomiatarono tosto. Pepita tornò su in casa, Domenico uscì, ma nell’uscire gli parve di aver veduta un’ombra fuggire sulla muraglia illuminata dalla luna. Ne fu un po’ scosso e stette qualche minuto in ascolto. Non vedendo nulla, mormorò:
- Mi sarò ingannato.
E uscì lesto dallo sportello del portone chiuso.
XIV.
La fuga e il delitto.
La sera susseguente, Domenico giunse più sollecito del consueto all’appuntamento, e vi trovò Pepita già pronta con due enormi involti di roba.
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