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      Pepita, affranta dal dolore, s’era frattanto ritirata nella sua camera e disfatti gli involti aveva riposto ogni cosa, e curato che sparisse ogni traccia della sua tentata fuga.
      Fu una notte terribile per lei. Avrebbe voluto trovar modo di scendere per soccorrere il fratello, se fosse ancor vivo, ma temeva di destar sospetti, dai quali sarebbe forse scaturita la verità del delitto e la persona del delinquente.
      Ad ogni tratto tendeva le orecchie per udire se qualche rumore le giungesse, dal quale le fosse dato arguire se il ferimento del fratello fosse stato scoperto.
      Ma il silenzio più profondo regnava nella casa, ed estenuata moralmente e fisicamente, finì coll’addormentarsi sull’albeggiare. Poco dopo un gran fracasso la svegliò. Tutta la casa era sossopra: si udivano voci confuse e imprecazioni e lai. Un famiglio aveva trovato nell’androne della porta il cadavere già irrigidito del figlio del padrone ed era corso a darne avviso al padre. La triste nuova si era diffusa in un baleno per ogni dove, e d’ogni dove accorrevano i curiosi per «vedere il morto» e per saper qualche cosa dell’omicidio.
      La giustizia informata intervenne pure e mandò a raccogliere i particolari del fatto. I giudici associarono tosto il delitto al nome di Domenico Guidi, arrestato appunto verso quell’ora in cui doveva essere seguito il delitto. E questi fu portato al cospetto della salma. Ma egli sostenne imperturbabilmente quella vista: non un muscolo del suo volto subì una contrazione; il suo polso accuratamente tastato, non diede un battito di più.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Domenico Guidi