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      Toccato il suolo, a passo celere raggiunse una stradicciuola traversale che menava alla montagna.
      Il campagnuolo, dopo averlo salutato, richiuse la finestra e si coricò, stropicciandosi le mani e mormorando:
      - Dio lo salvi e il diavolo lo protegga.
      La notte era buia, senza luna e senza stelle. I fanali della sedia di posta proiettavano dai due lati della strada la loro luce rossiccia. Gli alberi parevano gigantesche figure umane tendenti le braccia.
      Nel legno i due personaggi sonnecchiavano; ma non erano pienamente tranquilli; un’inquietudine vaga, indefinibile li agitava. Quando s’addormentavano sognavano malandrini, aggressioni e morti e si destavano di soprassalto e portavano le mani alle armi, che tenevano nelle tasche de’ pastrani.
      La strada fra Porto Recanati e Macerata, dopo aver percorso un tratto nel piano, incomincia a salire ed a serpeggiare lungo la montagna, cingendole i fianchi, come un largo nastro bianco.
      Il cacciatore aveva tenuto la promessa fatta al suo amico campagnolo, che lo attendeva a Caval Marino: inerpicandosi per scoscesi sentieri, attraverso le macchie, e marciando sempre di buon passo, aveva da lungo tratto sorpassata la sedia di posta e l’attendeva al varco, dietro un burrone, in uno dei punti più difficili della strada.
      Di quando in quando si buttava a terra e accostava l’orecchio al suolo, per distinguere i rumori lontani.
      - Eccoli - disse ad un tratto - fra dieci minuti saranno qui.
      E si rizzò tosto per prendere posizione.
      Non appena i cavalli della vettura giunsero innanzi al burrone, ove stava celato, il cacciatore uscì fuori, tenendo nella destra il pistone e ingiungendo colla manca protesa al cocchiere di fermarsi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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