L’esecuzione fu una delle più famose che io abbia operate. Accorsero per assistervi una folla immensa da tutti i paesi delle Marche, non solo, ma anco da Roma, attratti dalla fama del brigante, dai particolari dell’audacissima grassazione e dal fatto che ne era stato vittima un Corriere del papa, il quale accompagnava un personaggio di qualità e d’importanza, come il conte di Lavello.
Esortato a pentirsi dei suoi misfatti e regolare i suoi conti colla eterna giustizia, Paolo Salvati rispose:
- Mi pento d’esser caduto nella tagliola come un leprotto.
E respinse confessore e confortatori.
Conducendolo al supplizio, la sua alta figura torreggiava sulla carretta. Giunto al palco, girò uno sguardo schernitore sulla folla, poi porse da sé il collo al capestro.
Lo squartamento mi riuscì bene, ma non ebbi a faticar poco: pareva ch’avesse muscoli d’acciaio.
Vent’otto giorni dopo dovetti recarmi in Amelia, per impiccarvi e squartarvi un altro grassatore. E fu il 20 maggio 1806. Pasquale Rostelli era il suo nome, le sue gesta comunissime. Volgarissimo ladro da strada, soleva aggredire carrettieri, contadini, gente insomma da pochissimo conto e sovente gli veniva fatto di ammazzare un uomo per togliergli pochi baiocchi.
Sorpreso dai birri, si gettò piangente ai loro piedi, invocando pietà; lui che non ne aveva mai avuta per nessuno! Ammanettato e legato colle mani dietro le reni, venne tradotto in Amelia e sottoposto a procedimento.
Confessò gli innumerevoli suoi delitti, e gli assassinii commessi spesso per un semplice tozzo di pane, che avrebbe potuto chiedere per carità.
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