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      Ne raccolgo uno dei più commoventi.
      Pistillo soleva capitar di frequente in una tenuta principesca affittata ad un padre di numerosa famiglia, che ritraeva onesto guadagno lavorandolo e facendola lavorare dai coloni. Il suo arrivo alla tenuta era sempre salutato con gioia, perché portava regalucci alle donne ed ai bimbi e faceva compagnia al capo di casa ed agli uomini, ai quali porgeva altresì saggi consigli sulle coltivazioni e sul momento, più o meno opportuno, di procurarsi ciò di cui abbisognavano e di vendere i loro prodotti.
      Assente da oltre un anno, perché le molestie dell’autorità lo avevano indotto a mutar paese, una notte Pistillo arriva alla tenuta e vi è come di consueto affabilmente accolto. Gli servono da cena e l’affittaiolo gli tiene compagnia, mentre gli altri tutti se ne vanno a dormire.
      Pistillo s’accorge però che qualche cosa di straordinario e di non lieto dev’essere accaduto in quella casa. Per quanto si sforzi non riesce al padrone di mostrarsi ilare e contento. Beve, ma il vino gli resta nella strozza e depone il bicchiere vuoto solo a metà.
      D’un tratto Pistillo si ferma con in pugno il coltello, col quale andava tagliando un pezzo di cacio, e guardando fissamente il campagnolo, gli dice in tono secco e severo.
      - Paolone tu m’inganni.
      - Mi credete capace? - risponde tosto il campagnolo evidentemente corrucciato.
      - Tu non hai più confidenza in me - prosegue il masnadiero - tu mi celi qualche cosa.
      - Che vi ho mai da nascondere? - chiede con un profondo sospiro Paolone.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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