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      - Non lo so; se lo sapessi non te lo chiederei. Qualche affanno, qualche segreto dispiacere ti ha mutato. Paolone, non facciamo ciarle inutili: che cosa t’affligge?
      - Forse non ci vedremo più.
      - Perché?
      - Perché domani verranno gli uscieri a scacciarmi di qui. Sono rovinato. Non ho pagato l’affitto, perché l’annata è andata a male e l’amministratore del Principe mi ha intimato lo sfratto.
      La fronte di Pistillo si corrugò. Le tempie gli martellavano. Le vene della fronte s’ingrossavano. I suoi occhi si iniettavano di sangue. Le sue labbra erano frementi. Ma non articolava parola. Finalmente mormorò, quasi discorresse con se stesso:
      - Si sfratta un uomo colla sua famiglia perché non può pagare qualche migliaio di lire, lo si mette sulla strada, si strappa il pane di bocca a lui ed a’ suoi figli!... È una indegnità. E chiamano me brigante!
      Paolone udiva e non fiatava. L’ira che trasudava da tutti i pori del Pistillo lo commoveva.
      - Non c’è modo di aggiustare le cose?
      - Un solo, ha detto l’amministratore, dal quale mi sono recato ieri ad implorar pietà.
      - Quale?
      - Pagare. Capite? Pagare sei mila scudi, quando non ne ho cento in cassa; quando mancano le provviste per l’annata; quando si sono fatti tutti i sacrifici per tirare innanzi, sprovvedendosi di tutto il superfluo.
      - Pagare eh? ha detto l’amministratore.
      - Pagare o andarsene.
      - Ebbene pagherai.
      - Scherzate?
      - Giuseppe Pistillo non ischerza mai, quando è in gioco la vita d’una famiglia. Pagherai.
      - E chi mi darà i denari?
      - Io, te li darò.
      - Ma io ve li potrei rendere chissà poi quando.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
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