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      Pur agevolando al cognato l’esercizio del suo mestiere di mediatore e rimunerandolo largamente delle sue prestazioni, l’accorto macellaro lo teneva a debita distanza e quindi ne suscitava le bizze.
      Un giorno Tommaso Grassi si recò al negozio di sua sorella e trovatala sola, un po’ colle buone, un po’ colle minaccie le estorse duecento scudi.
      Risaputolo il marito abbordò il Grassi e gli disse seriamente:
      - Senti, Maso, quando hai bisogno di quattrini, rivolgiti a me e non a tua sorella. Non amo che le donne si impiccino in queste cose. I duecento scudi te li regalo. Fa di non chiedermene altri per un pezzo, se puoi.
      - Io me ne infischio dei due duecento scudi, - rispose arrogantemente il Grassi.
      - Perché li hai dunque domandati a prestito?
      - Non li ho cercati a te. Credevo bene che mia sorella potesse disporre di tale miseria.
      - Una miseria che t’ha fatto comodo però.
      - Ora che so che sono tuoi, non appena avrò riscosso te li schiafferò in faccia.
      - Maso, bada a misurar le parole, perché non sono avvezzo a tollerare né prepotenze, né insolenze.
      Il tono di voce del macellaro non era tale da ammetter repliche e tanto meno provocazioni nuove.
      Tommaso Grassi gli volse le spalle e se ne andò pe’ fatti suoi, covando in cuore la vendetta.
      Passò circa un mese.
      Il macellaro non aveva più riveduto il cognato, né sua moglie il fratello, quando sul far del mezzogiorno del 2 aprile, Tommaso Grassi capitò nel negozio, come se nulla fosse accaduto.
      - Guarda chi si vede - esclamò il macellaro, che era un buon diavolo ed aveva dimenticato l’alterco.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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