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      Ma ad un tratto la voce gli morì nella strozza: due coltellate una in un fianco che gli entrò in cavità, l’altra terribile nel collo, che gli recise la carotide, l’avevano colpito.
      Non ebbe il tempo di proferire una parola.
      I due assassini lo accomodarono bene sul fondo del carrettino e gli legarono le guide del cavallo intorno al braccio destro, quindi rivoltatolo verso la città, con due frustate lo sospinsero a disperata corsa.
      Il carrettino non fu fermato che a porta Cavalleggeri, dove si accorsero del delitto.
      Tommaso Grassi e il suo complice si erano, impossessati del denaro che il macellaio aveva portato con sé per pagare le vaccine e speravano di poter uscire dallo Stato. Ma la pronta denunzia della moglie dell’ucciso, sventò i loro progetti e vennero arrestati in Roma stessa dove erano rientrati per altra porta.
      Eretto il processo Tommaso Grassi confessò cinicamente il delitto, asserendo d’averlo commesso per vendetta. Il complice negò assolutamente d’aver partecipato e fu in questo sostenuto anco dal principale accusato. Disse che le coltellate le aveva date al macellaio il Grassi all’improvviso, e senza ch’egli potesse pensare a difenderlo; e per tal modo poté salvare la sua pelle, essendo stato condannato il Grassi all’impiccagione e lui a star sotto la forca durante l’esecuzione.
      Eseguii la sentenza la mattina del 15 aprile 1807, sulla piazza di Ponte SantAngelo con enorme concorso di gente, perché l’atrocità del misfatto e la notorietà delle persone, avevano suscitata una impressione profonda in città.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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