Tommaso Grassi provvide alla salvezza dell’anima sua, confessandosi e parve negli ultimi momenti veramente pentito. Fu condotto in carretta insieme al suo complice, circondato da uno stuolo di confortatori.
Giunto al palco, scese prima il compagno, che fu assicurato con ferri allo sgabello dal quale doveva assistere alla impiccagione del Grassi.
Questi salì un po’ vacillante e sorretto la scala, ma prima di essere lanciato nell’eternità, mentre aveva già il laccio al collo, disse addio al suo complice, il quale rimase impassibile, come se avesse assistito non ad una impiccagione, ma agli esercizi di qualche funambolo.
Era proprio uno spirito forte.
XXVI.
Grassatori vili. - Un patto nefando.
Il 2 maggio 1807 ebbi ad impiccare e squartare a Campo Vaccino Cesare di Giulio e Bernardino Troiani due grassatori dei dintorni di Roma, che avevano dato molto da fare ai birri. Ma le loro gesta non meritano punto di essere rammentate, perché non uscirono mai dalla più ignobile volgarità. Purtroppo anche il delitto ha un’aristocrazia propria. Si rivelano in esso, come in tutte le cose, la maggior elevatezza dell’ingegno e del coraggio, il carattere più nobile del delinquente e la forza d’animo più intensa.
Questi due malfattori, che dopo aver fatto strage di poveri viandanti e dimostrata una efferatezza straordinaria contro gente infelice, al cospetto della morte tremavano come foglie - si raccomandavano alla pietà universale e piangevano come fanciulli, o come donne, - destavano un senso di ripulsione nella folla accorsa per assistere alla esecuzione, non molto densa però. Non appena furon staccati dalla forca gli spettatori si diradarono.
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