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      Certa di poterla fare impunemente sarebbe capace di riportarsi a casa il drudo. Partirò io solo: voi continuerete come di consueto.
      - Ci troveremo fuori di porta all’alba.
      - E così sia.
      Il macellaro e il sensale discesero, pagarono il conto all’oste e tornarono in città, tranquilli e soddisfatti, come se avessero combinato una partita di piacere.
      XXVIII.
      L’inesorabile vendetta.
      Era una fresca mattina di primavera: il sole levante spargeva una luce blanda e quasi rosea sulla verzura della campagna; gli uccelletti gorgheggiavano sulle piante, dalle fronde tuttora irrorate di rugiada, il saluto al dì nascente. Una lieve brezza montana agitava i fiorellini sui loro gracili steli e saturava l’aere di aromi silvestri. C’era una pace d’amore nella natura che incantava e avrebbe reso poeta anche me, Giovanni Bugatti detto Mastro Titta, che in fatto di versi conosco solo il rantolo de’ miei impiccati e i queruli lamenti dei giustiziandi paurosi.
      Margherita e il suo drudo, levatisi sul far dell’alba, s’erano incontrati al solito luogo di convegno e si avviavano verso la porta della città, allegramente cianciando:
      - Dunque il tuo uomo?...
      - Se ne è andato ieri per certe compere di vaccine e starà fuori una settimana buona.
      - E il vecchio?
      - Il vecchio mi tiene il broncio. Da quella notte che venne a bussare e non gli aprii, non mi ha più importunato.
      - Gli fosse nato qualche sospetto?
      - Non c’è pericolo. D’altronde che vuol egli? Lo tollero, è anche troppo. Non ti pare?
      - Altro che parere! Per parte mia vorrei che gli pigliasse un accidente dove si trova.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Giovanni Bugatti Mastro Titta