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      Lesta come il fulmine si strappò dai capelli uno stiletto d’argento, col quale li teneva fermati alla sommità del capo, e si lanciò sul giovinotto per colpirlo; ma questi fu abbastanza pronto per scansare il colpo.
      Ma non perciò si calmò la furia di Virginia. Col superbo mantello dei capelli neri sciolti lungo la persona, le gote avvampanti, gli occhi di bragie, il petto ansante, le braccia tese, divinamente bella e fascinante, tornò a farsi sopra Enrico e riuscì a sfiorargli il collo colla punta dello stilletto.
      Un piccolo spruzzo di sangue caldo le soffuse il volto, e allora disperata di dolore ed ebbra di passione si diede a baciargli colle labbra, quasi cauterizzanti, la lieve ferita.
      - Quanto sei bella! - mormorò Enrico stringendosela al seno. E fu un’orgia di amplessi frenetici.
      Stanchi, spossati, non sazi, ristettero al fine e allora il giovine così parlò alla adorata fanciulla:
      - Senti Virginia, ti ho ingannata è vero. Ma ti ho ingannata perché ti amavo, perché ti adoravo, come t’amo e come t’adoro adesso. Non sono un operaio; sono un gentiluomo, appartengo ad una famiglia forte di denaro e di influenze. Se ti sposassi contro il suo volere, ed al consenso non c’è manco a pensarci, mal ne incoglierebbe a me, a te e a tuo fratello. Col tempo, forse, morti i miei genitori, andandocene via dallo stato pontificio potrei. Ma a che cullarci in vane speranze? Io t’amo; io sono tuo per la vita e per la morte. Vuoi morire? Moriamo insieme. Io sono pronto, te lo giuro. Vuoi viver? Te l’ho detto; posseggo una villetta mia, che ho ereditato da una parente, presso Albano, con un piccolo podere annesso.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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