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      Queste ed altre frasi congeneri erano frecciate al cuore di Francesco. Nondimeno ebbe la forza d’animo di dissimulare; rispose che Virginia non sarebbe forse più tornata, perché in montagna aveva un cugino che l’aveva chiesta in sposa.
      - Meglio così, gli venne replicato. I cugini di montagna sono fatti apposta per questo. Se no, che ne avverrebbe delle povere ragazze di città abbandonate da loro amanti gran signori travestiti da operai?
      Breve, di parola in parola, una qua, l’altra là, Francesco venne a saper tutto o quasi tutto. Virginia aveva un amante che vestiva da operaio, ma mostrava di non esserlo punto col suo portamento e le sue maniere. Non salutava nessuno, guardava la gente d’alto in basso. Aveva incominciato a ronzare intorno alla casa. Una sera aveva seguito la ragazza, le aveva parlato e s’erano evidentemente intesi, perché d’allora in poi, tutti i giorni l’accompagnava e prendevano le strade più lunghe e più deserte. Poi il bel giovane aveva incominciato ad entrare in casa: si tratteneva pochi momenti, sulle prime. Ma i pochi momenti erano diventati molti e lunghi. La frittata, dicevan le donnicciuole, ormai era fatta. Non c’era che d’andare in montagna.
      Francesco represse il suo sdegno e consacrò tutte le sue indagini per ritrovar la sorella. Un suo amico, che amava Virginia, avrebbe voluto sposarla ed era stato da lei rifiutato, l’aveva veduta una sera coll’amante ed era certo di riconoscerlo sotto qualunque spoglia, s’unì a lui per far le ricerche. Ma tornarono vane per lungo tempo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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