Questo alienò all’accusato l’animo dei giudici e Francesco Perelli ad onta delle circostanze che attenuavano la parte del suo misfatto fu condannato a morte, mediante strangolamento. Udì imperterrito la sentenza, ed esortato a prepararsi ad una buona morte rispose che vi si era preparato fin dal momento in cui aveva deliberato l’uccidere il traditore della sua famiglia, il seduttore di sua sorella. Invitato a perdonare se voleva essere perdonato, replicò che avrebbe perdonato se avesse potuto uccidere anche la Virginia, perché così avrebbe cancellata l’onta di cui s’era coperta. Sollecitazioni, preghiere, minaccie a nulla valsero. Non volle saperne di confessarsi, respinse i confortatori e morì impenitente, movendo francamente dalla carretta ai gradini del patibolo. Mentre stavo per buttargli il laccio al collo, si scansò rapidamente e rivolgendosi alla folla gridò:
- Popolo impara come si vendica dei nobili e come ben si muore vendicati.
Pochi momenti dopo era lanciato nell’eternità.
XXXV.
Una esecuzione difficile.
Non appena la compagnia di San Giovanni ebbe staccato e trasportato il cadavere del Perelli alla sua chiesa, dovetti recarmi alle carceri di Tordinona per pigliarvi il grassatore Carlo Castri, che era stato condannato - per quel giorno stesso - alla forca ed allo squarto. Ci volle un po’ di tempo, perché il reo aveva opposta la più energica resistenza, ai carcerieri, ai birri ed a me stesso prima di lasciarsi porre sulla carretta. Gridava come un ossesso e non voleva saperne di andare al supplizio.
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