Ma d’inverno e quando imperversava la pioggia, nella sua bottega per settimane e settimane non capitava anima viva, perché godeva di una pessima riputazione, e la gente dei dintorni si guardava bene dal recarvisi.
Era molto passionato per le donne, e quelle che capitavano nei pressi della sua osteria, per far cicoria o lumache, erano costrette a pagargli un tributo in natura. Forse non eran troppo malcontente, perché Carlo era un bell’uomo, alto, con un collo taurino, indizio di forza indomita, profilo del volto corretto, candido di pelle, con piccoli favoriti bruni e occhi sfavillanti. Se gli resistevano, dalle buone passava alle brusche, e si sussurrava, che più d’una, entrata incautamente nel suo negozio, era stata da lui trascinata nella grotta e non aveva più trovata l’uscita.
Allo scarso concorso di avventori il Carlo, suppliva appostandosi sulla strada di notte e spogliando i passeggeri che incontrava, dei quali era certo d’aver facilmente ragione. Ma s’era sempre condotto con tanta furberia, che ad onta delle voci pessime che correvano sul suo conto, non era mai caduto in fallo, né aveva avuto a soffrir molestie da parte dell’autorità.
Le pattuglie in perlustrazione si soffermavano anzi alla sua osteria, ed egli faceva loro le migliori accoglienze. Spillava per loro il vino delle botti che riservava per se stesso e per i cacciatori di qualità, che ignorando la sua triste fama, non isdegnavano di fare uno spuntino da lui. Vuolsi aggiungere che pochi cuochi sapevano cuocere al par di lui un pezzo di selvaggina allo spiedo, o preparare un piatto di fettuccine, o mettere un par di polli in padella e cucinarli lì per lì, dopo aver torto loro il collo.
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Carlo Carlo
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