Si seppe poi che la stessa destrezza aveva nello sbarazzarsi dei viaggiatori che aggrediva. Appoggiato all’aforismo che i morti generalmente non parlano, per non essere denunziato, aveva contratta la poco lodevole abitudine di scannare i suoi aggressi e di seppellirne gli avanzi nelle macchie. Era un metodo molto spiccio per assicurarsi l’impunità e insieme il libero esercizio della professione di bandito, che egli aggiungeva a quella d’oste e di sicario.
Sull’imbrunire di una giornata di gennaio capitarono all’osteria del Carlo due cacciatori stanchi e trafelati. Avevano corso tutta la giornata, e portavano i carnieri gonfi di starne e di beccaccie. Uno era anziano, colla barba intera bianca, l’altro giovane senza un pelo sul volto, ma entrambi aitanti della persona, allegri e disinvolti nel portamento.
- Padron Carlo - disse il vecchio entrando - hai di che rifocillarci?
- Non roba degna delle signorie loro, ma qualche cosa c’è - rispose ossequiosamente il Castri, togliendosi il berretto di cotone bianco che portava.
- Sentiamo, che hai? - disse il giovinotto.
- M’ero messo a cuocere un’ora fa una gallina, che aveva perduta l’abitudine di farmi le uova.
- Non sarà troppo tenera - osservò sorridendo il vecchio.
- Ma ci fornirà una buona tazza di brodo - osservò il compagno.
- Hai ragione Gustavo.
- Ci butterò quattro capellini all’uovo che avevo preparato per la mia cena.
- Benissimo.
- Poi ammazzeremo un paio di polli e li faremo andare in padella.
- L’idea non è cattiva.
- Poi? - domandò di nuovo l’imberbe cacciatore, tormentato da una fame canina.
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Carlo Carlo Castri Gustavo
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