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      Giunti al palco, scesero prima i confortatori poi io con un aiutante, poi i suppliziandi, poi un altro aiutante, che avevo dovuto procurarmi.
      Vincenzo Bellini doveva assistere alla esecuzione de’ suoi compagni ed al relativo squarto, prima d’essere giustiziato. Era un bell’uomo dalle forme atletiche, dalla barba nera fluente, dagli occhi corruscanti. Vestiva alla ciociara, come gli altri, ma non senza qualche eleganza ed in volgendo dal palco uno sguardo sulla folla, vide parecchi artisti, ed alcune dilettanti inglesi, che sbozzavano la scena e i ritratti, colla matita sui loro albums.
      L’esecuzione dei primi quattro fu rapida quanto più poteva esserlo. Nessun tentativo di resistenza avevano fatto. Quando ebbi impiccato l’ultimo di loro, incominciai lo squartamento. Il sangue colava a torrenti e innondava il palco; io ne ero tutto inzuppato e così il Bellini che assisteva imperterrito alla carneficina, senza battere ciglio, senza che si alterasse il colore del suo volto, dalla tinta bruna rossiccia, senza che il giuoco de’ muscoli visuali tradisse in lui la più piccola emozione.
      Non appena ebbi terminato di appendere alle travi del palco i quarti sanguinolenti degli appiccati, si udì un mormorio e un movimento nelle file più avanzate della folla e Vincenzo Bellini, strappati i legami che gli tenevano incrociate le mani, con uno sforzo sovrumano, tentò di buttarsi giù dal palco. Ma io fui pronto ad afferrarlo, mentre i soldati, appuntavano le baionette sopra di lui. Gli gettai al collo la piccola corda col nodo scorsoio ed afferrata per maggior sicurezza quella di soccorso, mentre il garzone lo sospingeva in su pei piedi lo portai sulla scala, donde lo lanciai nel vuoto.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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