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      - Brigadiere, diss’egli al comandante della pattuglia, o io non ho più naso, o qui sento odore della selvaggina che cerchiamo. Guardate.
      E così dicendo mostrò gli ossicini che aveva raccolto, chiedendogli:
      - Sapete che son queste?
      - Hai voglia di burlarmi? Sono ossa di pollo.
      - No.
      - Che cosa sono dunque?
      - Sono un indizio.
      - Indizio che qualcuno ha mangiato. Non ci vuol molto a comprenderlo.
      - Pazienza, brigadiere. Chi ha mangiato questo pollo? io mi domando.
      - Ecco il quesito.
      - Siamo almeno a quattro miglia dall’abitato e non è possibile che si mandino qui dai paesi circonvicini i resti di tavola.
      - Si capisce.
      - A questi chiari di luna non è supponibile che una comitiva allegra della città o dei castelli, sia venuta a fare una colazione sull’erba, nel folto del bosco della Faiola, con quel po’ po’ di paura che ispirano i supposti suoi abitatori.
      - Dunque?
      - Dunque codesti abitatori devono essere tutt’altro che supposti, devono essersi trovati a poca distanza di qui, non prima di questa mattina, poiché queste ossa sono fresche, odorano ancora, e devono essere state spolpate oggi stesso.
      Il brigadiere che aveva ascoltato con grande attenzione il ragionamento del segugio ed aveva avuto da questo rischiarata la mente, proruppe in un grido:
      - Bravo! E aggiunse: - Se troviamo i malandrini, giuro di regalarti a mie spese una dozzina di polli, per stuzzicarti i denti, e due pinte di quello buono per lavarti bene lo stomaco.
      - Grazie, brigadiere. Ora che ci resta a fare?
      - Darne avviso ai comandanti delle altre pattuglie, e stabilire con essi una nuova perlustrazione concentrica della selva.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Faiola