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      Il giorno appresso, la ganza di Vincenzo Bellini usciva dalla grotta per recarsi a Velletri a far delle provviste. Non appena giunta in città, si diresse all’ufficio del bargello, denunziò la banda e porse tutte le indicazioni necessarie per prenderla.
      La sera stessa Vincenzo Bellini e i suoi quattro compagni venivano catturati, dopo aver tentato invano di resistere, ferendo due dei più arditi birri che avevano voluto penetrare nella grotta, dopo aver rimosso l’enorme pietra che ne otturava l’apertura.
      Non parve sazia ancora di vendetta e d’odio la velletrana. Volle assistere al supplizio del suo amante; ma dopo aver veduto quello de’ suoi compagni, quando venne la volta del Bellini, fu presa da tale impeto di dolore che il cuore le si spaccò.
      XLI.
      Un orrendo rogo.
      Nove giorni dopo l’esecuzione dei cinque briganti della Faiola, dovetti trovarmi a Collevecchio per mazzolarvi e squartarvi Gioacchino De Simoni, l’uxoricida più singolare che sia passato per le mie mani.
      Era un giovane contadino di non più di venticinque anni innamorato pazzamente di sua moglie Cencia, una donna della stessa sua età, di forme opulenti, leggiadra di volto, procace negli sguardi e negli atteggiamenti e spirante da tutti i pori una cert’aria di sensualità, non certamente fatta per tranquillare le angustie di un marito geloso.
      Gioacchino lavorava assiduamente, giorno e notte per procurare alla sua Cencia tutti gli agi, tutti i conforti della vita, ch’erano compatibili con la loro posizione economica e col loro stato.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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