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      Riempì un immane braciere di carbone e l’attizzò, finché lo vide in perfetta combustione. Poi prese due cavalletti e li pose a distanza di cinque palmi all’incirca e li assicurò al suolo, perché potessero resistere a qualunque scossa.
      - Che fai? - gridò la Cencia dalla stanza da letto, svegliata da quel martellare.
      - Preparo la mia cena.
      - Ti prepari una scorpacciata di chiodi arrugginiti - disse la donna ridendo, e voltatasi dall’altra parte si riaddormentò.
      Gioacchino preparò quindi un piccolo bavaglio e delle funicelle sottili ma resistenti, e terminati i preparativi, passò nell’altra stanza e si accostò al letto.
      Cencia, mezza insonnolita, gli porse la bocca aperta per un bacio: Gioacchino le ficcò il bavaglio fra le labbra e i denti, e, in un baleno le cinse i polsi e le caviglie colle funicelle, senza ch’ella potesse dare un grido.
      Sollevatala di peso la portò in cucina; adagiatala sui cavalletti, l’assicurò ai medesimi per le braccia e per le gambe, strettamente legandola, le pose sotto le reni il braciere ardente e stette a vedere l’effetto della combustione, assaporando a goccia a goccia l’atroce vendetta.
      Sulle prime il corpo della Cencia dava in sussulti frequenti e, ad onta del bavaglio, le uscivano dal profondo del petto cupi gemiti. Ma non durò molto a sopraggiungere l’immobilità.
      L’orrendo supplizio durò più di un’ora, in capo alla quale le belle forme della sposa infedele erano completamente carbonizzate.
      La puzza di bruciaticcio e il fumo uscivano dalla porta spalancata verso l’orto, ma s’infiltravano pure per le fessure di quella verso la strada, diffondendosi per le vie, e Gioacchino sentì dire da una comitiva di giovanotti che passava:


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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