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      - De Simoni va cuocendo un quarto di capretto per la cena della Cencia e non sa che gliele mette tanto lunghe.
      Un riso sinistro, diabolico, gli sfiorò la bocca smorta e contratta.
      Sorta l’alba, chiuse diligentemente le due porte, uscì e andò dal bargello.
      - Chi siete? - gli chiese questi.
      - Gioacchino De Simoni.
      - Che volete?
      - Vengo a consegnarmi alla giustizia.
      - Perché?
      - Perché ho ammazzato mia moglie.
      - La cagione?
      - Mi tradiva.
      - Per così poco avete uccisa una donna? Non sapete che se tutti i mariti si comportassero così, presto il mondo si spopolerebbe.
      Gioacchino ebbe il coraggio di sorridere delle facezie del bargello, ma un sorriso che metteva terrore.
      - Come l’avete ammazzata? - riprese il degno funzionario.
      - L’ho abbruciata viva.
      - Seguite le buone tradizioni della Santa Inquisizione dunque? Bravo! Questo vi procaccerà forse le buone grazie dei giudici.
      Gioacchino fu ammanettato e, preceduto dal bargello, circondato dai birri, fu condotto a casa sua. La gente si affollava dietro al corteggio e quando fu aperta la porta della sua casa, vi irruppe.
      L’orrendo spettacolo strappò grida di indignazione, e i birri non ebbero a faticar poco per sottrarre l’uxoricida al furore della folla.
      Le donne erano le più infuriate, le più inasprite. Lo coprirono d’ingiurie e di vituperi e lo accompagnarono fino al carcere lanciandogli immondizie e sputi.
      Gioacchino De Simoni procedeva impassibile, non dando alcun segno né di rabbia, né di dispiacere, né di dolore.
      La vendetta consumata lo aveva talmente soddisfatto, che qualsiasi pena gli sarebbe parsa leggiera.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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