In quell’istante un tizzo acceso, quasi mosso da una segreta influenza, cadde fuori del caminetto, vicino ai piedini della contessa. Saverio si precipitò per raccoglierlo e inginocchiandosi si appoggiò alla poltrona, sfiorando colla mano febbricitante la persona della signora, che si era rovesciata completamente sul dorso ed aveva chiusi gli occhi.
Saverio dissennato la cinse con ambe le braccia, incollò le proprie alle labbra di lei e l’ebbe.
Per tutta la notte Giacinta lo attese invano nel vedovo letto.
Da quella sera fatale la relazione fra la padrona e il cocchiere diventò sempre più intima, salda, tenace: la passione divampava terribile in entrambi e colla passione la gelosia della contessa per la moglie dell’amante. Non volle più che Saverio andasse a casa a dormire e giunse ad impedirgli per intere settimane di vedere Giacinta.
La povera donna era ancora lontana dallo spiegarsi la cagione di quel contegno del marito. Gli rimproverava la sua freddezza, e come al solito fanno tutte le mogli disgraziate, a furia di querimonie, di scene, di seccature, gli si rese uggiosa, insopportabile.
D’altra parte l’amore della contessa diventava ogni giorno più esigente: ella avrebbe voluto assorbire in sé tutta la vitalità di Saverio. Una notte, in uno di quei momenti di delirio nei quali la ragione umana affoga, gli domandò a bruciapelo.
- Che te ne fai di Giacinta? Perché non te ne liberi?
- Le ho detto tante volte d’andarsene, che io la lascio libera della sua vita. Ma da quell’orecchio non ci sente.
| |
Giacinta Saverio Giacinta Saverio Giacinta Saverio
|