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      In breve la folla, che seguitava ad ingrossare diventò minacciosa. Dagli insulti orali era passata alla persona, gli si tiravano delle bastonate, dei colpi di pietra, dei torsi e lo si vilipendeva in tutti i modi.
      I birri duravano fatica a difenderlo, e temevano di vederselo da un momento all’altro tolto di mano e fatto a pezzi.
      Le donne erano le più inviperite delle altre. E a una vecchia megera riuscì di colpirlo alla testa con una pala da fuoco che gli produsse una ferita alla fronte, dalla quale colava copioso sangue.
      Era orribile a vedersi, cogli abiti a brandelli, coperti di polvere e di fango, col volto stralunato, gli occhi fuori dell’orbita, coi denti che battevano, rabbrividente e grondante di sangue.
      Quando Dio volle le porte del carcere gli si spalancarono innanzi, e si chiusero poi dietro di lui.
      Interrogato subito dal bargello non potè rispondere. Convenne lasciarlo per tre giorni in riposo, evitandogli qualsiasi emozione, che, a detta del medico, poteva riuscirgli fatale.
      Condotto finalmente innanzi al giudice diede sfogo al suo dolore, confessando tutti i particolari ed i moventi del delitto.
      - Sapete di che siete incolpato? gli domandò il giudice inquirente.
      - Lo suppongo.
      - Avete uccisa vostra moglie?
      - Sì.
      - Con una coltellata al cuore?
      - Sì.
      - Vi trovavate a letto con lei?
      - No.
      - Avete forse litigato?
      - No.
      - Vi avverto che questo sistema di rispondere a monosillabi non mi va. Rispondete categoricamente spiegando i fatti. La sola sincerità può attenuare la pena che vi siete meritata.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Dio