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      - Che mestiere fai? - gli domandò questo prete.
      - Non ne ho alcuno. Mio padre e mia madre sono morti da poco tempo e i parenti mi hanno mangiato tutto.
      - Poveretto! E come vivi?
      - Vivo prestando servizio a chi me ne chiede e facendo delle commissioni.
      - È una vita non molto comoda, né lieta.
      - Tristissima; ma d’altronde come si fa? Dio ha voluto così e mi rassegno alla sua santa volontà. Forse sarà per il bene dell’anima mia.
      - Senti, se io ti procurassi il posto di... di cameriere, d’uomo di fiducia insomma, presso un signore solo, l’accetteresti?
      - Se l’accetterei, don Asdrubale? Altro che accettarlo. Mi parrebbe una fortuna immeritata.
      - Ebbene, se ti piace, ti prendo con me. Il domestico che avevo prima è tornato al suo paese, lo sostituirai.
      Agostino afferrò la mano del prete e baciatala colla maggior emozione, se la portò al cuore ed esclamò:
      - Don Asdrubale è la via del paradiso che voi mi aprite. Sarò poco esperto, ma ubbidiente e fido come un cane.
      Il giorno dopo Del Vescovo non aveva più bisogno di aprire le cassette dell’elemosina per vivere. Era entrato al servizio di don Asdrubale; aveva una camera linda e pulita nella sua casa: venti scudi di anticipazione per far le spese della cucina, le chiavi della cantina e della dispensa del prete; vitto, alloggio e dieci scudi al mese di salario.
      Don Asdrubale volle anche che si prendesse una serva per gli uffici più bassi, lavare i piatti, sprimacciare i letti, scopar le camere, attinger l’acqua e via via. A breve andare Agostino era diventato il maestro di casa, per non dire il padrone addirittura.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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