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      Il tintinnio argentino del campanello dolcemente suonato lo svegliò di soprassalto.
      Balzò in piedi, accorse alla porta e l’aprì. Una superba figura di donna, avvolta in un ampio scialle, e col grande cappello coperto da un fitto velo, che le nascondeva pure il volto e si annodava intorno al collo, guizzò per entro l’anticamera, porgendogli la mano guantata. Don Asdrubale vi posò un bacio, col piglio disinvolto di un abatino della reggenza e le disse:
      - Attendi un momento: chiudo la porta perché nessuno venga a disturbarci: anche le imposte delle finestre sono ermeticamente serrate al di fuori e nessuno potrà supporre che qui ci sia gente.
      L’orzarola si inchinò lievemente in segno d’assenso, come avrebbe potuto farlo una gran dama.
      - Capperi! - pensò il prete, mentre eseguiva ciò che aveva detto - sembra una signora di qualità. Fortunatamente Agostino ha fatto le cose per bene... e il sacchetto dei due mila scudi è pronto.
      Quindi afferratale colla destra una mano e passatole il braccio manco intorno alla vita la condusse nel salotto, attraversando prima una camera buia.
      - Ma tu vorrai sbarazzarti di questi impicci - le disse poi - tentando di toglierle lo scialle e di sollevarle il velo - andiamo nella mia stanza da letto.
      La donna accennò del capo assentendo.
      E così, dal salotto, scarsamente illuminato, passarono nella camera, anche più buia, perché il lucignolo della veilleuse pareva vicino a spegnersi.
      Dopo aver dato alla sua formosa visitatrice un forte abbraccio, don Asdrubale si volse per ravvivare la fiamma della veilleuse deposta sul tavolino da notte.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
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