- Siete in arresto.
Era il bargello.
All’indomani d’ordine dell’autorità giudiziaria si operò la sezione cadaverica di Romilda e nelle sue viscere si trovarono le traccie del sottile veleno, somministratole dal marito, pienamente corrispondente a quello di cui c’era un saggio nella cartolina da lui perduta e raccolta dalla malata e chiusa nel piego del notaio, alla quale andava unito un biglietto scritto da lei, a lapis, del seguente tenore:
«Muoio avvelenata da mio marito Raffaele Vattani, con una polvere eguale a quella dell’unita cartolina, cadutagli inavvertitamente di mano, mentre me ne versava un’altra in un bicchiere di limonata. Lo vidi co’ miei occhi mentre lo faceva, riflesso nello specchio. E così continuò ogni giorno. Ormai perduta, ho lasciato che il misfatto si compiesse. Lo denunzio alla giustizia degli uomini, perché, adeguatamente punendolo, lo sottraggano alla vendetta divina.»
Schiacciato da siffatta rivelazione, Raffaele Vattani non tentò neppur di negare il delitto, con tanta freddezza perpetrato, per potersi liberare della moglie e sposare una ganza che s’era fatta, della quale era pazzamente innamorato, perché, come lui, fervida ed ardente.
Una folla enorme assisteva alla sua decapitazione in piazza del Popolo la mattina del 15 settembre, perché il misfatto aveva sollevato un grido d’orrore per tutta Roma, e accesi gli animi, segnatamente delle donne, di fierissimo sdegno.
Ce n’era più di un migliaio ne’ dintorni del carcere, quando uscimmo colla carretta: birri e soldati ebbero a faticar di molto per difenderlo.
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