- E me lo chiedete?
- Lo so. Ma è sì dolce sentirselo ripetere da una bocca come la vostra.
- Ebbene, sì t’amo; t’amo pazzamente, non vedo che pei tuoi occhi, non ho alito di vita che per te.
- Sei un angelo. Eppure questa confessione che dovrebbe farmi il più felice degli uomini, mi agghiaccia di spavento.
- Perché?
- Perché non potrà che esserci cagione di affanni, di dolori infiniti.
- Pazzo! Ci sarà cagione di ebbrezze ineffabili, se davvero tu pure m’ami, come io ti amo.
- Non riflettete, signorina, alla disparità delle nostre condizioni? - le domandò Corrado assumendo un fare riguardoso e con piglio quasi severo. La fanciulla ne fu scossa vivamente e sentì più ardente il desiderio dei baci. Pure sforzandosi di riporsi in tranquillità rispose con voce appena intelligibile:
- È da molto tempo che ci rifletto.
- E non avete riconosciuta l’impossibilità d’esser mia?
- No.
- Io non ho beni di fortuna.
- Che importa?
- Sono indispensabili per vivere.
- Ne ho io.
- I vostri genitori non consentiranno mai ad un’unione così disparata. Forse, se la fortuna mi sorregge, quando avrò dato alle scene la mia grande opera, e mi sarò fatto un nome e sarò sulla via di arricchirmi...
- E quanto tempo occorrerà per questo?
- Che ne so io? Forse due, tre, forse dieci anni.
Elsa alzò bruscamente le spalle, segno evidente di corruccio. Ma in quel momento s’udì uno stropicciare alla porta, e maestro e allieva ripresero le prove.
Era tempo.
La signora Facenni ritornava in compagnia del suo signor consorte.
LVII.
Trattative di matrimonio.
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Corrado Facenni
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