Una toletta del secolo XVII, pure a cortinaggi bianchi, con servizio d’argento cesellato e porcellana pompadour. Un piccolo scrittoio di legno di rosa intarsiato, con madreperla. Un grande armadio a specchi, riccamente scolpito. Sedie e poltroncine coperte di velluto e di broccato, completavano l’arredo della stanza.
Elsa aveva licenziata la vecchia cameriera, ed avvolta in un accappatoio di finissima battista trasparente, s’era seduta allo scrittoio e andava tracciando sulla carta delle piccole zampe di mosca, colle quali intendeva partecipare ai suoi genitori i motivi che l’inducevano a lasciare il tetto paterno e quali erano le sue intenzioni per l’avvenire.
Ma convien dire che le parole non corrispondessero perfettamente al suo pensiero, perché aveva già incominciato parecchie volte la lettera, e giunta a mezzo se l’era ripetutamente fatta a brani.
Pareva agitata da sinistri presentimenti. Se suo padre indignato da quella fuga che troncava tutti i suoi sogni di ambizione non avesse voluto assolutamente saperne più di lei? Poteva ella fare assegnamento sull’affetto della madre, ma questa non aveva tempra d’animo energico e non avrebbe mai trovato in se stessa il coraggio necessario per contrariare gli ordini del marito. E d’altra parte chi la assicurava della lealtà di Corrado? Chissà se egli, sbolliti i primi entusiasmi, non trovando più in lei la ricca ereditiera, non l’avrebbe abbandonata? Che ne sarebbe avvenuto di lei, sola al mondo in terra straniera, lungi dalla sua casa, da tutte le cose e le persone che aveva fin dall’infanzia imparato ad amare?
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Corrado
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