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      Vinta da queste paure, ella si attaccò al cordone del campanello, per chiamare la cameriera.
      La vecchia comparve sulla soglia della porta, pochi momenti dopo, già mezzo assonnolita e in una toletta notturna, che moveva al riso.
      - Che vuole la signorina?
      - Non lo so - disse essa sbadatamente, seguendo il filo de’ suoi pensieri.
      - Le occorre qualche cosa? Vuole che rimanga a tenerle compagnia, fino al momento della partenza?
      Questa offerta, richiamò la fanciulla alla realtà della situazione.
      - Credi tu che io faccia bene o male ad andarmene? - chiese francamente alla fantesca.
      - Signorina, ella non mi ha mai rivolta prima d’ora una simile domanda.
      - Ebbene?
      - Io l’ho accontentata per quell’affetto che le ho posto fin da quando la ressi bambina sulle braccia. Se mi avesse domandato consiglio prima ne l’avrei forse dissuasa?
      - Ed ora?
      - Ed ora non saprei. Al punto cui sono giunte le cose sarebbe strano retrocedere. Ma dal momento che la signorina esita, vuol dire che non è più dominata da quella passione indomita, irremovibile, che la trasse all’audace proposito.
      - È vero - mormorò essa. E quasi per riscaldarsi, per ravvivare la fiamma del suo amore, trasse da un tiretto dello scrittoio le ultime lettere inviatele dal maestro e si diede a rileggerle ansiosamente, dimenticando la cameriera, che stava ad aspettare e non osava né di interromperla, né di andarsene.
      D’un tratto Elsa alzò gli occhi sopra di lei e vedendola in quell’atteggiamento, presa da’ brividi, si alzò, andò alla vecchia e abbracciatala, le disse:


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Elsa