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      Ingravidata quasi subito dopo le nozze, partorì in capo a dieci mesi una femminuccia, la quale morì quasi subito. La mammana le propose allora di entrare a far da balia in una casa principesca, profferendole emolumenti lautissimi. Rosa, la macellara, ne parlò al marito. Questi sulle prime esitò, ma poi si lasciò vincere dalla seduzione del denaro. Gli affari di bottega non gli andavano troppo bene: aveva dei debiti, i cui interessi gli assorbivano la maggior parte de’ guadagni. La prospettiva di poterli pagare e d’essere così liberato da quell’onere lo indusse al sacrificio e lasciò che la moglie entrasse nella casa del principe, per dare il latte al piccolo principino.
      Rosa fu tosto vestita sfarzosamente nel costume del paese. Le fecero un magnifico guarnello di casimiro celeste, con una larga banda di raso giallo oro al basso, breve per modo da lasciar scoperto, fin oltre la caviglia, il piede calzato con scarpine scollate, di copale, guarnite con un fiocco di seta dello stesso colore della banda; un busto di seta celeste, come la veste, colla fettuccia e gli ornamenti di seta gialla; la camiciuola a larghe maniche sbuffate di casimiro bianco e uno scialletto di crespo indiano pur giallo, che gettava degli sprazzi di luce aurata sul collo bianchissimo e molto scoperto di dietro e davanti; le adornarono la testa leggiadra di una larga fettuccia intrecciata di seta celeste, con frangie d’oro, trattenuta da un grosso spillone di filigrana pur d’oro.
      Vedendola in quella toletta per la prima volta il povero Macchia fu preso da un capogiro: mai gli era apparsa tanto bella la sua sposa e mai aveva desiderato più ardentemente di possederla.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Macchia Rosa